Che cos’è l’artrosi dell’anca?

L’artrosi dell’anca, anche detta coxartrosi, è una patologia cronico-degenerativa della cartilagine dell’anca dovuta a un’usura dei capi articolari che si instaura progressivamente e compromette la normale deambulazione. Può essere dovuta sia a cause primarie (vedi articolo artrosi) che secondarie, ma con maggior frequenza è secondaria. Si distinguono infatti, due forme di coxartrosi: una primitiva, comune nell’età avanzata, e una secondaria, conseguente a deformità articolari congenite come la displasia dell’anca o a patologie traumatiche, infettive, reumatiche, o alla necrosi asettica della testa del femore.
Lo strato di cartilagine che riveste la testa del femore e la cavità acetabolare si assottiglia progressivamente fino a mettere a nudo l’osso sottostante e a creare uno sfregamento “osso contro osso”. Quest’ultimo reagisce addensandosi e deformandosi con la produzione di escrescenze a forma di becco (osteofiti) che limitano il movimento. La capsula articolare si ispessisce e i muscoli si retraggono fino a determinare una caratteristica postura dell’individuo affetto da coxartrosi.

Quali sono i sintomi?

Tra i primi sintomi (che vanno progressivamente a intensificarsi e che fanno da “campanello d’allarme”), abbiamo:
– difficoltà a sostenere un passo lungo
– a divaricare o accavallare le gambe
– compiere con scioltezza movimenti anche banali degli arti inferiori

Come sintomi veri e propri si hanno:

Dolore in sede trocanterica (osso che si sente sporgere dall’anca) o inguinale, spesso irradiato alla faccia antero-interna della coscia e mediale (all’interno) del ginocchio, poiché queste zone sono innervate dagli stessi rami sensitivi che innervano la capsula articolare dell’anca (n. otturatorio e n. femorale).

Atteggiamento viziato di lieve flessione e netta adduzione e rotazione esterna dell’arto.

Limitazione articolare che interessa inizialmente l’abduzione e i movimenti di rotazione interna (la flessione in genere è compromessa più tardi e in modo
incompleto).

Riduzione del tono (capacità contrattile del muscolo) e del trofismo (stato di salute del muscolo) dei muscoli dell’arto interessato, ovvero ipotonia e ipotrofia dell’arto
affetto, soprattutto dei muscoli: quadricipite, grande gluteo e medio gluteo.

Deambulazione (camminare) con zoppia di fuga.

Dolore.

L’atteggiamento viziato in flessione e rotazione esterna è determinato da una retrazione, ovvero da un’accorciamento, del muscolo ileo-psoas (situato a livello
dell’inguine), mentre l’adduzione da una retrazione dei muscoli adduttori.

Quali sono le cure?

Il trattamento per le forme meno gravi, è sicuramente di tipo conservativo con farmaci antinfiammatori e analgesici per alleviare il dolore. Vengono utilizzate anche infiltrazioni di acido ialuronico che nutrendo la cartilagine articolare, permettono una lubrificazione dell’articolazione e forniscono sollievo dal dolore. Fondamentale è infine un ciclo di fisioterapia, che ha lo scopo di ridurre il dolore, migliorare la funzione articolare e l’autonomia nella deambulazione, sia in termini di qualità dello schema del passo che di distanza percorsa.

A questo scopo può essere molto utile la tecarterapia e una buona kinesiterapia.

Soprattutto per l’artrosi di non grave entità, infatti, viene spesso prescritta la kinesiterapia per distendere la muscolatura presente nella zona interessata e ridurre, così, le tensioni accumulate all’interno dell’articolazione colpita. Nelle ipotesi di degenerazione non accentuata, la funzionalità viene in buona parte recuperata e il dolore si riduce progressivamente fino a scomparire. Particolarmente indicata è anche l’idrokinesiterapia, ovvero la terapia in acqua che, sfruttando l’ambiente microgravitario, permette all’articolazione di eseguire dei movimenti con un minore sovraccarico a livello articolare. Questo consente alla cartilagine articolare di essere meglio nutrita dal liquido sinoviale. Ne consegue che l’articolazione può muoversi con maggiore facilità, migliorando il range di movimento e il dolore.

Consigli utili?

È consigliata l’attività in acqua e la cyclette da eseguire con moderazione. In virtù della retrazione di alcuni gruppi muscolari, alcuni esercizi eseguibili anche da soli a casa sono i seguenti:

Riscaldamento: da supini (pancia un su) flettere ed estendere le gambe facendo scivolare i talloni su letto. Prima una, poi l’altra, “come se camminasse” per 2 min circa.

Contro la rotazione esterna: arti inferiori estesi e leggermente abdotti con rotazioni dei piedi all’interno (per stirare la componente extrarotatoria dell’ilo-psoas e il medio e piccolo adduttore). Ripetere 10-15 volte.

Contro l’adduzione: da supino, poggiare i piedi a gambe flesse ed abdurre le cosce (portare in fuori) per stirare i tre muscoli adduttori. Eseguire 10-15 volte e infine,
raggiunta la massima abduzione, è possibile mantenere la posizione per 20′. Ripetere tre volte lo stretching.

Contro la flessione: da supino, prendere aria col naso, afferrare con le mani intrecciate il ginocchio dell’arto sano, buttare fuori l’aria portando il ginocchio dell’arto sano verso il petto e rilasciare l’arto malato senza che questo si sollevi dal letto. Oppure spingere verso il letto l’arto malato. Si dovrà sentire una leggera tensione a livello inguinale del lato affetto. (stretching di Thomas). Tenere la posizione 20-30 secondi. Ripetere tre volte.

Per decomprimere l’articolazione: salire su di un panchetto con l’arto sano e lasciare pendolare l’arto affetto avanti e indietro, avendo prima messo un pesetto a cavigliera pari a un 1kg. Ripetere 10-15 volte.

Questi semplici esercizi vanno svolti 2-3 volte al giorno.

Per migliorare il tono-trofismo muscolare saranno indicati prima degli esercizi (ovvero stringendo il muscolo), sia da supino che da seduto, per poi passare a degli esercizi isotonici (con movimento).

Molto importanti sono poi delle opportune modifiche:

della postura, dello stile di vita (in particolare l’iperattività o, al contrario, l’eccessiva sedentarietà), la diminuzione del peso corporeo, evitare le posizioni prolungate (stare troppo in piedi o seduti a lungo), evitare il camminare a lungo, specie su terreni sconnessi.

Per l’artrosi all’anca è opportuno precisare che spesso si è costretti a ricorrere all’introduzione di impianti protesici, i quali sono elementi costituiti in gran parte da
metallo pregiato (per lo più titanio) che viene ancorato direttamente all’osso, spesso senza necessità di cementazione, tranne che in caso di paziente particolarmente anziano, in modo da consentirgli di caricare e camminare precocemente. Quasi tutte le protesi, comunque, durano dai dieci ai quindici anni, donando al paziente
delle capacità di movimento che, dopo una prima fase di convalescenza e di carico parziale (deambulazione con stampelle), possono definirsi quantomeno accettabili e talvolta perfino eccellenti.

Quali esami fare?

Oltre ad un’appropriata visita ortopedica è consigliabile una RX. La coxartrosi infatti, si diagnostica con la classica radiografia dell’anca. La radiografia mostrerà la presenza di osteofiti, la deformazione della testa del femore con la riduzione dello spazio articolare tra questa e la cavità dell’acetabolo.